lunedì 31 maggio 2021

Trapana Jones e la punta maledetta

Era l’inizio di settembre del 2006, io ero appena tornato dall’oriente e Giulio dall’Africa. Entrambi eravamo intenzionati ad aprire una via, tanto per cominciare, sulla Parete delle Torri alias Paretone alias ancora Cresta delle Torri. Ne avevamo parlato fin da quando, impegnati sulla sud-est della Rocca di Lities, dalla sua cima, seduti su un grosso masso, guardavamo la parete non lontana e così incombente a chiusura del vallone ad anfiteatro di Lities. Era dunque giunto il momento di risalire il canalone ingombro da grandi massi, giungere alla forcella e proseguire sul lato nord della cresta delle torri per arrivare in cima alla parete, che possedeva una sola via sul suo lato sinistro. Di mattina presto, dunque, feci lo zaino un po’ di corsa cercando di non dimenticare nulla e dopo un rapido inventario, decisi che avevo preso tutto. Attesi, alla solita rotonda di Venaria, l’arrivo della ecologica Panda di Giulio e dopo aver effettuato il trasbordo sulla inquinante Punto diesel, guidai fino all’abitato di Lities. Gli zaini furono riempiti del materiale equamente diviso, corde, trapano, placchette, cordini, moschettoni, batteria( del suddetto trapano) e dopo il pieno d’acqua alle borracce eravamo pronti per l’ora e mezza circa di salita sotto un peso di una decina di chili. Il cielo era di quelli alla Magritte, un bell’azzurro con molte nuvolette sfilacciate, in alto sul Bellavarda, una nuvolaglia nera incombeva. Ci accolse la bella pietraia calda che funge da base alla Parete delle Torri e poco prima di raggiungere quest’ultima deviammo a sinistra per infilare il largo canalone che porta alla breccia. Salendo, ci scambiammo impressioni di viaggio, idee nuove, progetti futuri, insomma …un sacco di parole. Sostammo brevemente per osservare un vecchio enorme albero collassato dal bosco sulla pietraia, si era spezzato alla base ed aveva un diametro di almeno due metri. Forse era stato colpito da un fulmine o, indebolito da qualche parassita, era crollato spezzandosi alla base. Ora i suoi rami erano sparsi sulle pietre ed erano terreno di colonia per funghi, muschi e miriadi di formiche, il grosso tronco, completamente scavato, stava per disgregarsi. Una ben misera fine per chi sicuramente, fino a non molto tempo prima, aveva torreggiato sugli altri asfittici alberelli dei dintorni. Proseguimmo poi in silenzio, ciascuno immerso nelle sue cose, fino a che le nostre orecchie percepirono un rumore come di sassi che rotolano ed i nostri occhi allora videro uno splendido camoscio che in modo altero ci osservava dall’alto, mentre scendeva a saltelli. Ci fermammo a guardarlo incuriositi ed ammirati, si fermò a guardarci curioso ed apparentemente non spaventato, annusò l’aria, girò il muso e sparì sull’altro versante lasciandoci vedere il sottocoda bianco. In una quarantina di minuti eravamo giunti alla breccia, in altrettanto tempo saremmo giunti in cima. La giornata, abbastanza soleggiata, non fu troppo pesante per il caldo, la solita brezza  che spira a Lities nelle giornate estive e che scompare in inverno, ci rinfrescò notevolmente, tanto che il peso dello zaino non si fece sentire più di tanto. Dei grandi faggi orlavano la cresta ed alla loro ombra erano nettamente visibili i giacigli dei camosci e le tracce del loro passaggio. Dalla cima il panorama sulla valle apparve interamente visibile quando ci portammo sul bordo della parete, sotto di noi un grande salto che non potevamo vedere ma che immaginavamo per averlo osservato parecchie volte. Ci imbragammo, dunque, tirai fuori la batteria e Giulio fece scivolare fuori dallo zaino il trapano e lo collegò, preparammo i fix e le placchette, cordini, moschettoni. “passami la punta del trapano” esordì Giulio “ preparo l’ancoraggio”, “ la punta.. si, la cerco” sussurrai “ devo averla messa in fondo perché non la vedo, era qua, dove sarà finita ? L’ho dimenticata in macchina” continuai sconcertato “ azz… ci siamo sgobbati tutto questo tragitto per nulla…” ”mi dispiace, non ci resta che scendere…” proseguii mogio. A quel punto presero il sopravvento il senso pratico e la voglia di fare di Giulio “ allora, è ancora abbastanza presto, sono le 10 e mezza, scendiamo alla macchina, mangiamo qualcosa, recuperiamo le punte e saliamo in cima alla Rocca per vedere se possiamo fare qualcosa sulla parete sud, in questa stagione le giornate sono ancora lunghe, abbiamo tante ore di luce” Quando qualcuno ti fa un programma così dettagliato nel giro di alcuni secondi senza pensarci sopra, non puoi che annuire e se ti affiora un dubbio, lo cancelli con un batter di ciglio. Qualcuno, ora, potrebbe pensare che consumammo un breve spuntino, che so, una barretta, una brioscina, no, no, ci cucinammo, col fornello portatile, gli agnolotti! Quel qualcuno di cui sopra, potrebbe ora pensare che fu pesante ripartire con lo zaino e camminare in salita ripida per circa 30 minuti, si, si, lo fu. La digestione accelerata dal moto, non fu poi così problematica…solo un po’. Dalla cengia superiore della Rocca, ci godemmo, seduti sulla pietra, il panorama foschioso della valle, una striscia rosa stinto divideva la cima dei monti dal resto del cielo azzurro chiaro ma intanto la nuvolaglia nera, rimasta parcheggiata sopra il Bellavarda per alcune ore, si spostò verso e sopra di noi , piuttosto velocemente. Decidemmo di calarci lungo la parete, prima che il tempo cambiasse in peggio e sperammo anche che la nuvolosa nera fosse innocua. Ci trovammo sopra un bel muro di roccia scura “ bisognerà pulire molto !” “ andiamo verso destra la roccia mi sembra bella, c’è un bel diedro” Il trapano fece il suo dovere, posammo gli ancoraggi e proseguimmo le calate in doppia. Quando mettemmo i piedi sulla grande cengia, cominciò a scendere una pioggerellina fine, fine. L’atmosfera cambiò improvvisamente, l’aria si rinfrescò, i rumori si ovattarono, il leggero vapore levatosi dalla pietra calda ci avvolse e ci penetrò nelle narici. Mi accovacciai sulla cengia e guardai lontano, in silenzio. Una grande calma si impossessò di me, osservai la pioggia al riparo di un minuscolo tetto, era una grande e bella sensazione. Con due calate fummo nel bosco e sul sentiero di ritorno. Quel giorno nacque “il mago di Oz”.



 

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