lunedì 31 maggio 2021

Scalata d'autunno

L’autunno è probabilmente la stagione migliore per chi vuole frequentare la montagna di quota medio bassa, le giornate sono ancora lunghe, la luce ha un bel colore caldo, i boschi assumono quella colorazione mista che compone un vero e proprio collage di verdi, rossi e gialli. Per arrampicare è sicuramente, a mio modo di vedere, il periodo più bello, l’aria è calma, le temperature non sono ancora troppo basse come l’inverno che seguirà  e non più calde né troppo umide come in estate. Parliamo naturalmente di condizioni standard che non sempre sono tali poiché conosciamo bene le bizzarrie del clima di questi tempi. “Non ci sono più le mezze stagioni” “il tempo non è più quello di una volta” “quando ero giovane…” queste e altre banalità le sentiamo in ogni luogo, al bar come al mercato, sul posto di lavoro come sul tram e nei programmi televisivi. Bisogna però dire che un fondo di verità esiste, il clima è evidentemente cambiato e con certezza a causa dell’uomo il quale sta riducendo a pochi decenni mutamenti che forse la natura potrebbe realizzare in 1000 o 2000 anni Noi stiamo purtroppo spingendo sull’acceleratore di questi cambiamenti e corriamo a tutta velocità verso un punto di non ritorno. Non mi voglio però ora addentrare in questi discorsi poiché molto complessi e poco inerenti a quanto voglio scrivere in quest’articolo che potrete leggere se la bontà dell’editore mi sarà stata favorevole. Perdonatemi dunque un po’ retorica sulle stagioni e particolarmente sull’autunno, direi dunque di passare all’argomento vero e proprio. Avevo combinato, giacché la stagione si presentava così bene, di fare una scalata con Giacomo e Andrea fissando loro un appuntamento a un’ora non troppo mattutina, al Galup di Pinerolo per un buon caffè con brioche. Le idee erano tante, Monte Bracco, Rocca Sbarua, uno dei numerosi luoghi della val Chisone come il Bourcet o il Grandubbione. Dopo un po’ di scambi di opinioni, senza particolare fantasia la scelta era caduta sulla Sbarua, i motivi erano la vicinanza e senza dubbio la bellezza del posto. Salendo sulla strada che porta prima a Talucco e poi al Rifugio Melano-Casa Canada avevamo già notato un discreto traffico, “sono fungaioli” aveva sentenziato Giacomo. Giunti al parcheggio avevamo realizzato che centinaia di scalatori dovessero essere lì, macchine posteggiate in ogni dove, di traverso, in bilico, alcune col fatidico sasso contro la ruota (?!). “Parbleau” fece Giacomo (le esclamazioni in francese sono il suo forte) “forse è meglio che giriamo i buoi” disse con minore eleganza rispetto all’esordio “propongo di salire al colle del Crò e poi decidere” Ci eravamo così trovati dopo pochi minuti in un altro parcheggio altrettanto pieno di auto, quad, moto e bici, la terza battuta era toccata a me ed era stata dialettale “am bele si a regalo ‘l sucher” reminiscenza di una vecchia barzelletta. Dopo aver escluso la Roca d’la sënner/Falesia del Crò, avevamo optato per il Torrione del Talucco contando sul fatto che non ci fosse affollamento poiché gli scalatori avrebbero dovuto essere tutti a Rocca Sbarua formando curiosi grappoli umani sulle soste dello Sperone Rivero o del Cinquetti. Ci incamminammo dunque sulla larga carrareccia che da dietro la Locanda del Crò sale in direzione del Colle Sperina e giungemmo, dopo aver passato la sbarra di ferro, in circa quindici minuti a una deviazione a destra, segnalata da piccole scritte su alberi, da un cartello e da segni rossi. Scesi velocemente nel bosco fino alla presa dell’acqua superammo alcuni alberi caduti e dopo una deviazione a sinistra in un boschetto di pini giungemmo alla pietraia che, discesa alla bell’e meglio, ci permise di raggiungere la Cresta 7 Confini su cui una cordata si era appena impegnata. Proseguendo oltre per una cinquantina di metri ci trovammo alla base del Torrione del Talucco. Queste due strutture rocciose insieme alle Torri Livia, Carla, Jennifer, Giuditta e Grigia sono corollario della ben più nota Rocca Sbarua, hanno però la caratteristica di essere meno frequentate per la loro posizione un po’ defilata e per la mancanza di un rifugio in prossimità. Sebbene abbiano la stessa fantastica roccia, un granito solidissimo e rugoso, per lunghi anni sono state abbandonate dagli scalatori. Quando nel 2007 decisi di aprirvi un paio di vie, il Torrione aveva soltanto una vecchia via degli anni ’70 con pochissime ripetizioni e di difficile reperimento e un’altra sulla faccia sud abbastanza attrezzata ma un po’ dimenticata. Con Giacomo e Andrea decidemmo di attaccare lo spigolo di sinistra per la via “Un sorriso per Susi”. La partenza era in un diedro piuttosto articolato che portava allo spigolo vero e proprio, occorreva poi salire su piccole prese fino a giungere alla parte superiore dello spigolo stesso che andava scalato con un po’ di forza per buone fessure e lame, l’uscita era su un comodo terrazzo. Il secondo tiro toccò a Giacomo il quale salì dicendo che sperava che io avessi “chiodato corto” come diciamo in gergo. Lo tranquillizzai, anche se non ne aveva certo bisogno, la sua frase era puramente rituale, superò molto bene la placca quasi verticale con una scalata su minimi appigli e piccole svasature. “Il terzo tiro è il più estetico” dissi ad Andrea mentre si accingeva a partire “ e poi dimmi che non sono un amico, ti ho lasciato la parte più bella” “ sì ma è anche la più dura” rispose ridendo. Salimmo nel diedro chiuso da un piccolo tetto e girato lo spigolo attaccammo la larga fessura che porta al muretto finale da scalare con un po’ di destrezza e resistenza su liste orizzontali. Sulla piatta cima della torre rocciosa ci accovacciammo sotto il sole. La giornata era radiosa, la visione della valle era filtrata da una lieve bruma che sottolineava le linee dei crinali a separare tra di loro le varie valli fino al Monviso troneggiante sullo sfondo, non per nulla è anche chiamato il re di pietra. Decidemmo di continuare a scalare sotto il tepore autunnale e proseguimmo sulla parte alta della Cresta 7 confini che porta in vetta al Monte 7 confini, anche se di vetta nel senso più stretto del termine non si può parlare, si tratta più che altro di un punto topografico, dove convergerebbero per l’appunto i termini di sette comuni. Questa cresta è formata da diversi torrioni e presumibilmente negli anni ’60 era stata salita con un andamento poco chiaro e di cui non vi era una relazione ben precisa. Due nostri amici, Jean e Fede, avevano deciso di farvi una via e ne era venuto fuori un percorso diretto, molto vario, su roccia ottima e attrezzato secondo l’ottica dell’arrampicata sportiva che caratterizza tutta quest’area. Torniamo dunque a noi che dalla sommità del Talucco ci spostammo brevemente a piedi nel bosco per attaccare la Cresta iniziando la scalata di un pilastro verticale e di un successivo spigolo molto interessante. Giacomo iniziò a lamentarsi di una scarpetta che per il troppo uso aveva un buco sulla punta e dichiarò che di lì in avanti avrebbe fatto “il cliente”, avrebbe quindi scalato solo da secondo di cordata come se si accompagnasse a una guida, “meglio così” disse Andrea ”da primo sei lento” e gli rivolse un ghigno canzonatorio. Ad un certo punto della via ci si trova su un bellissimo muro verticale solcato da un’esile fessura dove l’incastro delle mani non è semplice e occorre anche una discreta tecnica di piedi per sfruttare ai lati della fessura stessa appigli scarsi e arrotondati, questo è il settore chiave della salita. Riuscii abbastanza bene in questo tratto e mi portai sulla grande terrazza occupata da un enorme masso appiattito da cui il panorama sulla valle era veramente ampio e luminoso. Da questa terrazza rocciosa alcune cenge mettono in comunicazione la cresta con il bosco sottostante e fu lì che Giacomo propose di uscire a cercare funghi, ma noi non accettammo “l’onta” di fuggire dalla via. Per descrivere la parte finale vorrei utilizzare alcune righe tratte dalla guida cartacea di G.P.Motti ed. C.A.I. 1969 (un oggetto ormai solo da collezione) “soprattutto l’ultimo salto prima della vetta del Monte 7 Confini, se superato direttamente, offre un’arrampicata veramente entusiasmante e divertente”. Non potevamo dunque deviare nel bosco sottostando alla richiesta di Giacomo il quale dopo vari sfottò ammise che la sua era in fondo solo una battuta di spirito, per nessun motivo avrebbe voluto interrompere la via ma dopo questa sua affermazione gli sfottò aumentarono. Ormai il tramonto incombeva. Potevamo fare altro che finire la giornata con i piedi sotto il tavolo alla presenza di un tagliere di salumi e formaggi per aumentare i nostri trigliceridi e colesterolo? “Se beviamo vino rosso, che contiene molti polifenoli, contrastiamo il colesterolo e inoltre ne ricaviamo un’azione antiossidante” teorizzò Giacomo al quale prontamente rispose Andrea ”per toglierti l’ossidazione dovuta all’età, ti ci vuole una botte” proponendo il solito ghigno canzonatorio. Quali siano i risultati degli studi medico-scientifici sul vino non contava granché, nelle nostre terre abbiamo sempre saputo che un buon bicchiere non può fare altro che bene e di conseguenza ci comportammo. Tra chiacchiere e risate serene era giunta l’ora di risalire in auto e divallare. Uscimmo dalla locanda quando nel parcheggio c’erano sì e no un paio di auto e ai tavolini del dehors, due “local” si godevano gli ultimi raggi sorseggiando un bicchiere. Stava per inghiottirci la valle pressoché buia oramai e l’indomani sarebbe stato l’inizio di una nuova settimana con la solita idea di scalare ancora in quella luce e in quei luoghi.

 


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