Myanmar 1995
Per vedere
Le disposizioni prevedevano la presenza di un autista ed un interprete locali.
Vista la spesa non eccessiva pro-capite (viaggiavo con 2 amici) optai per la suddetta soluzione.
L’agenzia turistica governativa che si occupò di trovarci il mezzo, ci garantì, sulla carta, una buona vettura giapponese dotata di condizionatore, un accompagnatore in grado di parlare un buon inglese ed un fidato e prudente autista.
Si presentarono al nostro albergo il mattino della partenza, entrambe elegantissimi nei loro “sarong” colorati e con camicia e colletto inamidato. L’auto era una Toyota, vernice lucida, appena lavata, età apparenta circa 15 anni, “se cammina, per noi va bene” commentai, “no problem, japanese quality !” risposero in coro.
Erano piuttosto giovani, i due, simpaticamente sorridenti ed allegri. Si sistemarono sul sedile anteriore, noi tre su quello posteriore ed il viaggio ebbe inizio.
L’accompagnatore ci illustrò, in un inglese molto rude e basico ma sufficiente, le tappe che avremmo fatto: Mandalày, Bagàn e la valle dei 5000 templi, Lago Inle ed alcuni templi “by the way”; si girò e si assopì.
Al risveglio, riprese un discorso, forse interrotto precedentemente, e rovesciò un fiume di parole sull’autista il quale, poveretto, non potè fare altro che annuire e di tanto in tanto sorridere mentre una cascata inarrestabile di consonanti e vocali lo investiva.
Visto il nome dell’accompagnatore molto difficile da pronunciare e vista la sua capacità affabulatoria, pensammo che il soprannome giusto fosse “Talky Talky”. Tale fu per 10 giorni.
Tanto era azzeccato il nomignolo, che alla fine del tragitto anche il suo amico autista lo chiamava così suscitandone il disappunto.
Le cupole dei templi di Bagàn occupavano tutta la valle. Una grande civiltà, secoli addietro, aveva voluto dare un segno di potenza terrena e spirituale ed aveva costruito, si dice, quasi 15.000 templi, alcuni coi tetti ricoperti da foglie d’oro, differenti stili costruttivi, differenti dimensioni, una successione mirabolica forse unica al mondo per concentrazione.
Il nostro fido Talky Talky ci diceva che i templi erano costruiti “good formula”, ” cosa vuol dire?” gli chiedevamo e la risposta era ogni volta un gesticolare a noi assolutamente incomprensibile.
In quei giorni, ad opera dei due, il nostro inglese si arricchì di espressioni variopinte non propriamente “corrette”: ” quickly to quickly”, “ very special good”, “ me tink tink”, mancava però la ciliegina linguistica , ma essa non tardò ad arrivare.
Volendo spedire alcune cartoline e non avendo visto un ufficio postale in Bagàn, chiedemmo a Talky di passarvi l’indomani prima di lasciare la città.
Al mattino, di buon’ora, la nostra comitiva si mise in moto : “Oh… volete un post-office? Ok no problem”.
Viaggiammo con
Ripartiti il mattino seguente, scommettemmo sulle possibilità di imbucare le cartoline e convenimmo che esse erano ridotte quasi a zero, anche se ci pareva impossibile che per un così lungo tratto non ci fosse un ufficio postale: “ mah, non l’avremo visto…”.
Durante una sosta per mangiare qualcosa in un mercato locale, avvistammo il fantomatico ufficio delle poste, chiamammo Talky Talky e glielo indicammo ed egli candidamente: “oh…questo è post-office? Ma vi siete espressi male, in inglese si dice letter-house !”.
Ci guardammo sbalorditi e mi venne in mente la frase di una famosa pubblicità televisiva anni ‘70
“capitanooo , lo possiamo torturareee ?”.
A Talky Talky furono risparmiati torture e strangolamenti ma non una scoppola accompagnata da un corale “ma vaff…”
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